Nuovo terreno di scontro tra i due azionisti principali del polo sovranista. Alcuni mesi fa i leader del centrodestra decisero a tavolino i candidati presidenti per le diverse regioni in scadenza elettorale. Sul piatto l’Emilia Romagna, la Calabria, la Puglia, le Marche, la Toscana. La Lega schierò la Bergonzoni e tutti gli alleati sostennero lealmente la candidata salviniana, mentre nella reidstribuzione delle candidature FI ottenne le candidature in Calabria e Campania. I meloniani ebbero il via libera sulla candidature in Puglia (dove il partito schiera l’ex presidente Raffaele Fitto) e nelle Marche. Ora, dopo la sconfitta nell’Emilia Romagna, la Lega sembra voler rimescolare le carte e rimettere in discussione i patti stabiliti. Salvini pretende una presidenza al sud a scapito proprio del candidato di Fratelli d’Italia. La reazione della leader della destra italiana non si fa attendere: “i patti si rispettano e il nostro candidato in Puglia sarà Raffaele Fitto”. C’è in questa nuova disputa tra i due leader anche una differenza culturale. Per la destra italiana il valore della “parola data” è un totem, la misura del valore di un uomo o di una donna. La Lega invece ha spesso dimostrato di disconoscere i patti contratti, a seconda della convenienza del momento. Rimanendo a Udine basterebbe ricordare quando, a fine novembre, il sindaco leghista Fontanini, tradì platealmente la parola data, revocando l’assessore Daniela Perissutti, espressione della destra udinese, per accontentare le pretese di Progetto Fvg. A Roma come a Udine insomma è guerra per la leadership del centrodestra.
Marco Rossi