“Ofelia” è l’ultimo romanzo di Francesca Sartori, un’indagine negli abissi dell’arte, dell’amore della letteratura e della follia: mondi che inevitabilmente si intrecciano tra di loro.
La trama. È il 1967, Antonio Moro ha svolto per anni la professione di pittore, ma ora è ricoverato presso l’Ospedale psichiatrico di Venezia con la diagnosi di schizofrenia. La dottoressa Elisabetta Rossetti, attratta dalla sua storia, si siede ogni giorno accanto a lui e ascolta i suoi racconti. Per conoscere le ragioni che lo hanno condotto alla pazzia, è necessario tornare indietro di qualche anno, quando Antonio è soprannominato da tutti “il pittore pazzo di Venezia”: la gente lo teme, perché a causa del tragico annegamento di sua sorella, è costantemente ossessionato dall’immagine di una donna che affoga.
È alla disperata ricerca di una modella per realizzare il suo quadro: “Ofelia”. Nel 1964 la sua vita sembra irrimediabilmente giunta sull’orlo di un abisso, fino al giorno dell’incontro con una bella ragazza veneziana, Agnese Cozzi. La giovane non è spaventata dai suoi comportamenti e si avvicina a lui senza paura. I due iniziano una relazione, ma presto la loro storia si trasforma in un amore malato, in cui non è più possibile distinguere il confine fra bene e male, arte e pazzia, amore e ossessione… vita e morte. Ofelia smette di essere un personaggio teatrale e diviene un incubo reale, che sconvolge completamente la vita dei protagonisti e di chi li circonda.
I destini dell’artista Antonio Moro, della psicoanalista Elisabetta Rossetti e della giovanissima musa Agnese Cozzi si intrecciano a Venezia. Lo sciabordare delle acque e le malinconiche vedute di una città percepita dalle feritoie di un ospedale psichiatrico o attraverso la luce fredda di un atelier bohemienne diventano il teatro degli eventi, che raggiungono il culmine il giorno dell’alluvione del 4 novembre 1966. I corpi di donne morte per annegamento si trasformano nell’ossessione di un’arte malata e si fanno scaturigine di un amore, altrettanto perverso. Ma non lo sono forse tutti gli amori?
Il romanzo è impreziosito dalle citazioni di Shakespeare, dalle evocazioni dell’arte preraffaellita e dalle parole di Elizabeth Eleanor Siddal, poetessa e pittrice del XIX secolo, morta suicida a seguito dell’assunzione di una dose letale di laudano. Un destino, questo, che unisce come un filo rosso la vita di più donne, reali e immaginarie, al punto che finzione letteraria e storia vera si confondono in un labirinto in cui il lettore inevitabilmente smarrisce i suoi passi, fino a riprodurre in un gioco di specchi infinito la tragica sorte dell’Ofelia di Shakespeare