I talebani entrano a Kabul. E’ la prova che Islam e Democrazia sono incompatibili

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Le immagini della bandiera dei talebani issata sul palazzo presidenziale di Kabul sta facendo il giro del mondo e, sebbene la storia non si ripeta mai nella stessa forma, le stesse foto circolanti sul web, che ritraggono gli elicotteri americani sgomberare il personale dalla loro ambasciata, riportano impietosamente la mente a Saigon.
Parlare di una Caporetto per l’esercito regolare afghano è sbagliato: da Caporetto fino al Piave l’esercito italiano lottò come un leone per rallentare l’avanzata austro-tedesca, a differenza delle milizie dell’ex presidente afghano Ashraf Ghani che si sono invece liquefatte come neve al sole.
Sulla carta l’esercito regolare afghano contava su 300 mila uomini ed armamenti tecnologicamente superiori a quelli dei circa 70 mila talebani che componevano l’esercito dei fondamentalisti. Armati e addestrati dagli occidentali, sembrava impossibile una sconfitta dell’esercito governativo ad opera dei barbuti. Eppure quelle armate hanno gettato le armi quasi senza combattere e, spesso, si sono unite ai fondamentalisti islamici. Altri si sono dati a una fuga precipitosa in Tagikistan.
“La Storia insegna ma non ha scolari” disse Gramsci, è mai asserzione fu più veritiera che nella lunga storia dei rapporti tra gli europei e gli afghani. Già gli inglesi nell’800 impararono a loro spese quanto forte è il senso di indipendenza dagli stranieri e la doppiezza degli afghani. Durante il primo conflitto anglo-afghano il capo degli rivoltosi afghani Mohammed Akbar Khan, mancò ripetutamente alla parola data ai britannici, facendo massacrare a tradimento lo stesso plenipotenziario britannico. Durante la ritirata britannica dal paese, il capo afghano, che aveva garantito l’incolumità degli inglesi, si presentava a loro (continuamente bersagliati con attacchi improvvisi) garantendo che stava facendo tutto il possibile per onorare il patto sottoscritto. Lo faceva in lingua persiana, conosciuta dagli inglesi, mentre contemporaneamente rivolgendosi agli afghani in lingua pashtun esortava al massacro degli stranieri. Una storia che ci riporta all’attualità, verificando la doppiezza degli ambasciatori talebani a Doha (luogo dove si sono svolte le trattative tra occidentali e talebani), con promesse che sono state poi puntualemte disattese sul campo.
Gli afghani hanno impiegato 10 anni (dal 1979 al 1989) per sconfiggere i russi e 20 per logorare fino al ritiro le truppe occidentali. Non hanno mai vinto una battaglia, ma hanno sempre vinto la guerra e la ragione è semplice, il consenso ampio di cui hanno sempre goduto i mujaheddin nel proprio paese.
L’illusione degli europei, degli occidentali, di poter esportare i propri valori, è naufragata sul campo. L’idea che i valori occidentali debbano essere considerati “universali” è oggi tramontata. Se i talebani hanno potuto resistere per un’intera generazione (dal 2001 ad oggi) contro la strapotenza tecnologica e militare degli occidentali, è perchè “l’Afghanistan profondo” tifava per loro, li sosteneva. Le stesse donne afghane, tra la libertà occidentale e la tradizione, hanno optato per quest’ultima. Come occidentali possiamo illuderci che non sia andata così, ma le donne afghane hanno parteggiato per i loro figli che andavano sulle montagne a combattere per la loro Patria. Il popolo afghano ha spazzato via un’altra menzogna occidentale e cioè che la forza non abbia più l’importanza che ha avuto nel passato, a causa del progresso scientifico e tecnologico. La forza è ancora l’arbitra dei destini dei popoli, come insegnano le lezioni in Afghanistan e in Siria e spesso, un soldato rozzo e ignorante, conta nella vita delle nazioni, più di un virologo da laboratorio.
La “globalizzazione” già in crisi, inizia la sua ritirata.
Ancora una volta si deve prendere atto dell’impossibile coesistenza tra la democrazia occidentale e l’Islam.
L’Italia, l’Europa, l’Occidente, devono prendere atto che il resto del mondo vuole continuanre a vivere seguendo le proprie specifiche tradizioni culturali e non accetta il modello di vita occidentale.
Anche volendo, l’Occidente, in crisi demografica, economica e politica, non ha più la forza di imporre alcunchè. Prendiamo atto della necessità che ogni popolo determini il proprio futuro senza ingerenze e difendiamo noi stessi il nostro interesse nazionale, europeo e occidentale. Impediamo per esempio che un’immigrazione islamica incontrollata nei nostri paesi, stravolga la nostra identità, i nostri valori, il nostro stile di vita. Non illudiamoci che questo non accada, o al risveglio, la bandiera con la mezzaluna non sarà sul palazzo presidenziale di Kabul, ma sul Campidoglio a Roma.
Dott. Stefano Salmè

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Il Giornale di Udine

Eredi morali del “Giornale di Udine” fondato nel 1866 da Pacifico Valussi.

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