Lorena Cesarini usa il palco di Sanremo per l’annuale pippotto contro il razzismo

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Negli ultimi anni il mainstream ha trasformato Sanremo da palcoscenico della canzone italiana a teatro di recita di monologhi politicamente corretti, che hanno il compito di “rieducare” gli italiani.

Anche quest’anno non poteva mancare mancare l’ennesimo pippotto sul razzismo.

Un monologo di quasi 12 minuti centrato su frasi fatte prese a prestito dall’opera dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, “Il razzismo spiegato a mia figlia”.

Il “politicamente corretto” non prevede mai un contradditorio, ma predilige i “monologhi”, utili ad “educare” i cittadini.

Un monologo dai contenuti talmente poveri da essere addirittura difficile da commentare. Gli italiani hanno dovuto pagare il prezzo di sorbirsi una “lezioncina” da un’attrice che non aveva titoli per parlare di un argomento così complesso come il razzismo.

I razzisti ci sono e ci saranno sempre, in Italia, in Senegal nel paese dove Lorena è nata, come nel Marocco di Tahar Ben Jelloun. Ma sono e saranno sempre un’infima minoranza senza seguito.

La sensazione invece è che il potere alimenti i fantasmi del razzismo per usare poi la clava dell’antirazzismo verso chiunque si opponga all’immigrazione di massa, pianificata dalle multinazionali che governano il mondo come strumento per abbassare il costo del lavoro e massimizzare i profitti.

Uno schema già usato abbondantemente in questi due anni di pandemia, con il capro espiatorio dei “no-vax”, definiti di volta in volta come “eversivi”, “terroristi”, “terrapiattisti” etc.

Lorena Cesarini chiudendo il suo vuoto monologo, si è definita una persona libera. Forse allora avrebbe dovuto dedicare il suo tempo e la visibilità che gli era stata regalata, per ricordare quei milioni di italiani che da mesi sono costretti a vivere in un moderno apartheid.

 

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Il Giornale di Udine

Eredi morali del “Giornale di Udine” fondato nel 1866 da Pacifico Valussi.

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