Storia di Udine

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L’ORIGINE DI UDINE

Se i documenti non chiariscono l’origine del nome di Udine, le più recenti scoperte archeologiche fanno luce sulla genesi del capoluogo friulano. I resti del “castelliere” fanno risalire la fondazione della nostra città alla media età del bronzo (1700 a.C. ma probabilmente anche prima), collegando temporalmente la fondazione di Udine all’immigrazione indoeuropea dei Protolatini, giunti in Italia attraverso le Alpi Giulie proprio in quell’epoca, probabilmente da un’imprecisata area dell’Europa danubiana. Non sappiamo a quale tribù, nel coacervo di etnie che formavano il vasto aggregato dei Protolatini, (Latini, Falisci, Enotri, Veneti, Ausoni, Aurunci, Opici, Itali) possa accreditarsi la fondazione di Udine. Anche se la vicinanza geografica alla regione veneta potrebbe indurci a credere che al popolo italico dei veneti possa, ragionevolmente, essere associata l’origine della comunità udinese, non va dimenticato che in quell’epoca non si conoscevano confini “di stato” rigidi e società compatte come poi si strutturarono in epoca storica.

Questa prima immigrazione italica della penisola (ne seguì una seconda intorno al 1200 a.C.) produsse quella civiltà materiale definita “terramaricola”, le cui caratteristiche si attagliano perfettamente all’ambiente naturale di Udine così come ci è stato descritto e come si è sviluppato nel corso dei secoli. I “terramaricoli” abitavano in villaggi di capanne costruite su piattaforme di legno, rialzate dal suolo mediante pali. Le “terramare” erano villaggi di forma quadrangolare o trapezoidale, situati generalmente nelle vicinanze di un corso d’acqua, o di un lago (a causa della necessità di poter attingere acqua per le esigenze dell’agricoltura e dell’allevamento e in caso di incendi). L’importanza della risorsa idrica nel mondo terramaricolo fa sì che questi siti si configurino come veri e propri centri per la gestione e la ridistribuzione delle acque a scopi agricoli. Se una terramare prendeva fuoco, veniva abbattuta e ricoperta di terra. Questi resti, uniti agli scarti del villaggio, finivano per formare delle collinette, alcune alte anche più di un metro. La terra, essendo fertile per i numerosissimi resti organici, veniva usata per concimare ed era rinominata marna, cioè appunto terra fertile. I centri terramaricoli erano difesi da un terrapieno e da un fossato artificiale spesso di imponenti dimensioni. Le case erano disposte secondo un criterio preordinato e razionale in uno spazio circoscritto che comprendeva anche silos (veri e propri magazzini), pozzi e altre infrastrutture. Le due vie principali correvano da Sud a Nord e da Est a Ovest (l’equivalente di cardo e decumano nell’accampamento romano). La fossa e il vallum, che circonderanno più tardi il campo romano, trovano qui un parallelo nel fossato e nel bastione di qualunque “terramare”. Ecco perché nelle “terramare” si vede l’origine del “castrum” romano. Gli isolati delle abitazioni di forma rettangolare (la stessa forma che si riprodurrà nelle “insulae” romane) la dividevano così in tanti quadrilateri. A oriente del nucleo urbano sorgeva lo spazio della “polis”, ossia il luogo della radunata della comunità e in questo si apriva la fossa rituale. All’esterno del nucleo urbano doveva essere collocata la necropoli. Le popolazioni di quell’epoca , stando ai resti archeologici, oltre che all’agricoltura si dedicavano alla metallurgia, alla ceramica e alla tessitura. Anche il tenore di vita doveva essere elevato proprio in virtù di queste attività e dell’intenso commercio basato sugli scambi con popoli confinanti e anche lontani. Ciò è attestato dall’ambra recuperata in alcune “terramare”, proveniente da foreste del terziario, soprattutto dell’area baltica. L’aspetto lucente dell’ambra, il suo colore dorato e le sue proprietà elettrostatiche non potevano non attrarre la curiosità e l’attenzione fin da un’età molto antica. In Italia l’uso dell’ambra è accertato a cominciare dall’età del bronzo. Verso il 2000 a.C.  anche la regione friulana conobbe la lavorazione dei metalli, partendo dal bronzo, seguito da rame e ferro. I resti di “centri terramaricoli” in molti comuni del Friuli (Basiliano, Campoformido, Cividale, Coseano, Dignano, Flaibano, Gemona, Gonars, Lestizza, Mereto di Tomba, Mortegliano, Moruzzo, Pagnacco, Pasian di Prato, Pozzuolo, Sedegliano), stanno a indicare una presenza importante dal punto di vista demografico. Ora, se queste che abbiamo descritto sono le principali caratteristiche materiali della cosiddetta civiltà delle “terramare” dei popoli Protolatini, basta confrontarle con gli aspetti orografici della città e le caratteristiche del primo nucleo urbano udinese dell’età del bronzo per capire che non vi possono essere molti dubbi sulla sua appartenenza alla civiltà delle “terramare”. Sin dalle sue origini la nascita e il destino della città sono stati segnati dalle sue caratteristiche geografiche. Gli aspetti morfologici più caratteristici sono rappresentati dal colle e dalle depressioni di Piazza I Maggio e di quella che esisteva a sud ovest della città, nell’attuale Piazza Garibaldi. Se il colle si prestava ovviamente alla difesa della comunità in caso di attacchi esterni, le due depressioni, già in epoche remote, apparivano come due piccoli laghi, alimentati dalle acque piovane. Questo consentiva ai terramaricoli italici di soddisfare le esigenze della loro economia legata all’agricoltura e all’allevamento. È probabile che l’origine del colle e della depressione di Piazza I Maggio siano frutto di un’unica causa naturale, ossia le profonde spinte geodinamiche verificatesi in età quaternaria. Come è certa l’origine naturale del colle e della sua depressione ai piedi, altrettanto certa è l’opera dell’uomo, che in epoche diverse ne ha modificato gli aspetti originari. Il colle (che soddisfaceva le esigenze militari), la presenza dei “laghi” per soddisfare le esigenze lacustri tipiche della cultura terramaricola, i segni del primitivo nucleo urbano, di forma trapezoidale, i segni dei fossati che circondavano il colle e il nucleo della comunità, sono prove importanti e forse determinanti a sostegno dell’identità Protolatina della comunità udinese e la collegano alla civiltà delle” terramare”. Altro fattore che conferma la nostra tesi è la stessa collocazione di Udine e il fatto di essersi trovata, fin da epoca preistorica (ben prima dell’arrivo dei romani) lungo quella “via dell’ambra” (in epoca romana assunse il nome via Iulia Augusta) che, dal villaggio di Ca Baredi, nei pressi di Aquileia proseguiva fino alle regioni danubiane e che da sempre garantì alle terre friulane un’importanza economica fondamentale nel commercio tra mondo mediterraneo e mondo centro-europeo. Le tracce di un vasto argine ci mostrano il nucleo primitivo della prima polis udinese, costruito con le caratteristiche di tutti i centri terramaricoli. I confini dell’originario nucleo urbano sono, con un po’ di osservazione, visibili anche agli occhi di un profano. I giardini Ricasoli in Piazza Patriarcato ci mostrano i resti del “terrapieno” che doveva proteggere Udine a quei tempi.

Percorrendo le vie Piave, Gorghi, Crispi, superando Piazza Garibaldi, proseguendo per l’attuale Via Del Gelso, per poi rientrare dalla porta che oggi ci conduce attraverso la Galleria Bardelli in via Rialto e infine “chiudere” il perimetro del borgo ai piedi della salita del castello, si disegnano i confini della prima “civitas” udinese. La forma di questo nucleo urbano ricalca quella forma “trapezoidale” dei villaggi terramaricoli tipica dei popoli Protolatini.

Il primo nucleo della città doveva arrivare a una grandezza di circa quindici ettari, ossia più grande rispetto a molti coevi centri terramaricoli dell’Italia settentrionale e centrale. Lo stesso spazio che, rivolto a oriente dei loro nuclei urbani, i terramaricoli italici riservavano all’area sacra, alle adunate della comunità, ben si attaglia con il luogo che, ancora oggi, a Udine viene usato allo stesso scopo, Piazza Libertà (e che in epoca romana divenne il Foro). E chissà che l’attuale spazio consacrato ai caduti delle guerre e che in precedenza ospitava una chiesa dedicata a San Giovanni, non insista su un’area che fin da epoca preistorica era usato per lo stesso scopo (la persistenza di una destinazione d’uso che cambia foggia con l’apparire di una nuova civiltà è cosa frequente, si pensi alle chiese cristiane costruite sopra i templi pagani). E’ possibile che sin dall’età del ferro questo spazio sacro abbia ospitato un tempio dedicato a Ercole. Molti sono gli indizi che spingono a tale ipotesi. Ercole era per tutti i popoli italici il “protettore” dei viandanti, colui che garantiva la sicurezza del commercio sulle principali arterie di comunicazione. Udine nasce proprio come “stazione” lungo la “via dell’ambra” che conduceva al Norico. Il culto di Ercole è documentato in molte località della regione, dal Timavo (dove in epoca romana sorgerà un tempio a lui dedicato e dove in epoca cristiana, sopra i resti del tempio, nascerà la chiesa dedicata a San Giovanni di Tuba), a Cividale-Forum Iulii, a Zuglio-Iulium Carnicum. È quindi assolutamente verosimile che anche a Udine, nello spazio sacro dell’attuale Piazza Libertà, vi fosse uno spazio dedicato alla divinità italica di Ercole, su cui poi in epoca cristiana venne edificata la chiesetta di San Giovanni (distrutta dal terremoto del 1511).

È possibile che l’area del castello di Udine possa essere stata frequentata anche dalle precedenti popolazioni mediterranee euganee, affini per razza, lingua e costumi ai liguri antichi e secondo l’ipotesi del Frau, la stessa origine del nome Udine potrebbe derivare dalla radice linguistica “oudh” ossia “mammella” (indicante la forma del colle di Udine), propria di queste genti. È quasi la norma che al sovrapporsi di un popolo, i nomi che designano i luoghi e il mondo della natura, piante e animali, rimangano quelli della popolazione autoctona. Ma le caratteristiche del popolo euganeo (per quel poco che ne sappiamo e quel poco è mediato da informazioni riferite a popoli affini) mal si adattano, anzi escludono l’ipotesi che gli euganei abbiano sviluppato a Udine un precedente nucleo urbano prima dell’arrivo dei terramaricoli italici. Abitavano la zona probabilmente, ma non avevano quella compattezza di comunità, guerriera ed egualitaria, che esprimevano già gli antichi latini penetrati in Italia nell’Età del Bronzo e che veniva espressa tra le altre cose dalle caratteristiche dei centri urbani terramaricoli e dalle consuetudini egualitarie nei propri riti pubblici e in quelli funebri. La stessa tendenza alla “vita urbana” dei Protolatini, secondo una visione della vita collettivistica, rispetto alla “frammentarietà” dei nuclei mediterranei presenti sul territorio friulano, induce a ritenere che la fondazione della polis udinese si debba attribuire a una delle innumerevoli tribù Protolatine arrivate dalle Alpi Giulie e “incuneatesi” nella penisola, che diedero vita a quella civiltà successivamente chiamata “terramaricola”. Non sappiamo quale sia stato lo sviluppo di questi nostri antichi antenati udinesi. In alcune zone dell’Italia settentrionale e centrale queste comunità subiranno intorno all’età del ferro un forte declino. Se questo declino sia da attribuire a cause climatiche, all’arrivo dei cosiddetti “popoli del mare”, o più probabilmente alla seconda ondata immigratoria italica (umbro-sabellica) è oggetto di dibattito. Quel che è certo è che alcune comunità terramaricole italiche svilupperanno la loro civiltà, spesso mescolandosi con le progredite società mediterranee presenti nella penisola. È possibile, anche se non ne abbiamo le prove che questo sia accaduto anche a Udine, anche in Friuli. Da quello che possiamo supporre, la civitas udinese potrà svilupparsi pacificamente per molti secoli, probabilmente mescolandosi con i resti delle popolazioni euganee che vivevano ai margini di Udine. Il grande rivolgimento di popoli che all’alba dell’età del ferro sconvolgerà tutta la penisola, toccherà ovviamente anche il Friuli e quindi anche la polis udinese. L’irruzione violenta della seconda ondata immigratoria italica (umbro-sabellica) in Italia, costringerà le popolazioni della regione friulana e giuliana a sviluppare quella “civiltà dei castellieri” che permetterà alle comunità della nostra regione di mantenere un proprio sviluppo indipendente. Sarà solo nel IV secolo a.C. con l’irruzione di tribù celtiche nelle montagne friulane (i Carni) che l’equilibrio raggiunto si romperà. I Celti/Carni dopo essere riusciti a insediarsi nella montagna friulana, si spingeranno gradualmente sino alla pedemontana, minacciando le comunità venetiche della pianura friulana, tra cui quella di Udine. Ma sarà a quel punto che i Celti/Carni troveranno a sbarrargli la strada le aquile di Roma.

LE AQUILE DI ROMA SUL COLLE DI UDINE

Nella città di Udine né resti archeologici (così importanti per l’età del bronzo e per il periodo romano), né tombe, né toponimi possono essere riferiti ad una qualsivoglia presenza celtica. Questo è probabilmente dovuto alla mirabile posizione difensiva del colle che, unitamente alle efficaci costruzioni difensive del castelliere udinese, garantì la sicurezza della città rispetto alle incursioni celtiche (che, per la verità, non rappresentarono mai una invasione vera e propria, ma piuttosto una lenta calata dal regno celtico che si era creato nel Norico) e forse ad un qualche legame federativo con le altre comunità venetiche che riuscirono sempre a mantenere la loro indipendenza dai celti (grazie anche alla determinante alleanza con Roma).  Come rafforzamento dell’area aquileiese, nel 169 a.C. furono aggiunti altri 25 mila ettari alla pertica di Aquileia, con l’inserimento di 1.500 nuove famiglie di coloni latini. È nell’ambito di questa seconda deduzione che il destino di Udine si intersecherà con quello di Roma. Nel sistema romano la campagna era assoggettata alla città. Ogni territorio dipendeva amministrativamente dal municipium di riferimento. Mentre i territori a nord di Udine dipenderanno amministrativamente dalla futura colonia di Iulium Carnicum, (territorio con una forte presenza celtica). Udine invece rappresenterà il limite settentrionale dell’agro aquileiese che ospitava una popolazione latina, prevalentemente originaria dell’Italia centro meridionale, mescolatasi con quelle popolazioni venetiche che da secoli abitavano la pianura friulana (gli eredi dei terramaricoli). Udine al tempo era probabilmente la sede di un “castra stativa”, ossia di una guarnigione militare stabile, volta a difendere quella fondamentale libertà di commercio lungo l’antichissima “via dell’ambra gialla” (che dopo il consolato cesariano assunse il nome “via Iulia Augusta”). Nei castra romani le costruzioni erano tutte in muratura. Gli ufficiali avevano vere e proprie case. Molti abitanti della zona si stabilivano intorno a questi accampamenti, per essere protetti e per sfruttare i traffici commerciali. I legionari vi portavano anche le loro famiglie. Prendendo spunto dalla provenienza dei coloni (dal basso Lazio), che arrivarono in Friuli con la seconda deduzione di Aquileia (169 a.C.), l’umanista udinese Giuseppe Sporeno ha ipotizzato che originariamente il nome del “castra stativa” udinese fosse stato Atina, lo stesso dell’antico borgo laziale da dove sarebbero venuti i coloni latini che l’avrebbero abitato. Tale nome si sarebbe esteso all’intera città, seppur corrotto linguisticamente nel corso del tempo. Anche se Udine romana nacque principalmente con una funzione militare, dobbiamo pensare che la vita dei legionari nei castra stativa, se non c’era da combattere, diventava statica, per cui gli uomini si ingegnavano per rendere più comoda la permanenza ma anche più operosa la giornata. Per questo i castra divennero non solo un cantiere perpetuo per costruire ed aggiustare mura e ambienti, ma anche laboratori di falegnameria, forgiatura e lavorazione di metalli, erboristeria, farmacia, cuoieria, ecc. I cavalli necessitavano di finimenti e di ferri agli zoccoli, i soldati dovevano rinnovare e aggiustare armi e armature a cui erano preposti fabbri e armaioli. Questo trasformò presumibilmente Udine nella capitale dell’artigianato del Friuli centrale. La capacità dei soldati di sviluppare oggetti e congegni fece sì che dalle campagne la gente andasse nel “castra” udinese ad acquistare i manufatti romani, vendendo in cambio i prodotti alimentari. Udine acquisì, quindi, già dall’epoca romana, quella funzione di “città emporio” che rimarrà nel corso dei secoli la sua più visibile caratteristica economica. Se la storia di “Udine romana” comincia con la seconda deduzione di Aquileia (169 a.C.), possiamo ricostruire con una certa approssimazione le fasi più importanti della sua evoluzione da un’attenta analisi dei resti archeologici ritrovati e dalle, pur poche fonti storiche che parlano della città. Sul colle del castello sono stati rinvenuti importanti resti archeologici databili tra il I sec. a.C. e la fine del II sec. d.C. Ora, pur non avendo testi storici coevi che ci riportino in luce la storia della Udine romana di quel tempo, incrociando la datazione di quei reperti con le tradizioni orali e con quel poco di scritto che ci è pervenuto, possiamo far sufficientemente chiarezza sulla storia del capoluogo friulano in epoca romana. L’umanista udinese Paolo Fistulario racconta che già nel medioevo gli abitanti di Udine si dividessero sull’origine della città: “Ottone vescovo di Frisinga, storico gravissimo vivente sul principio del secolo XII il quale morì nel 1158, ci assicura come ai suoi dì, cioè poco più di un secolo dopo i tempi di Ottone II, fra gli abitatori di Udine correva già la famosa tradizione che il nostro Colle, ch’egli chiamava magnitudinis Montem, fosse stato innalzato di pianta secondo alcuni da Attila, e secondo alcuni altri da Giulio Cesare”.  E’ ovviamente difficile affermare con certezza cosa celi quasta antica tradizione orale ma è possibile fare alcune ragionevoli ipotesi storiche. Sappiamo quanto il “grande romano” abbia tenuto in considerazione la regione aquileiese, dove erano stanziate alcune delle migliori legioni che lo serviranno nella conquista della Gallia (la VI, la VII e la IX legione avevano il campo invernale proprio ad Aquileia). Fondò la colonia di Forum Iulii che diede poi il nome a tutta la regione dalle Alpi Giulie alla Livenza. A nostro avviso è possibile proporre due ipotesi per spiegare la leggenda che vuole la città di Udine fondata dal divo Giulio. La prima, già fatta dall’erudito udinese Enrico Palladio degli Olivi, è che Cesare fece ricostruire la città dopo la sua presunta distruzione ad opera dei Cimbri. La seconda ipotesi, che a noi appare la più probabile, è che ai coloni latini di Udine, che sin dal 169 a.C. godevano dello status privilegiato di “socii latini”, il generale romano abbia concesso la piena cittadinanza romana, come fece del resto con le altre realtà dell’Italia settentrionale (lex Iulia 49 a.C.), in virtù del valore e della fedeltà a Roma, comprovata nel tempo. Non avendo testi che confermino un collegamento diretto tra Cesare e Udine, anche in questo caso è l’archeologia ad aiutare una ricostruzione storica. Gli scavi effettuati alla fine degli anni ottanta, hanno evidenziato nel piazzale del Castello, due casette di epoca tardoromana e una dracma venetica attribuibile al II o al I secolo a.C.. Ulteriori scavi hanno ormai provato che ci fu una presenza romana tra la fine del II secolo a.C. e il I secolo a.C.  Nel luglio del 2019, in occasione dei lavori di ripavimentazione di via Mercatovecchio, un’eccezionale scoperta ha contribuito a fare un po’ di chiarezza al riguardo. Una struttura (di 20 metri di lunghezza e 6 di larghezza) medievale al centro della carreggiata ha dimostrato che l’attuale assetto è stato il frutto di modificazioni importanti nel corso del tempo. Ma quel che conta ai fini del nostro ragionamento storico sono i reperti ceramici, trovati negli strati più antichi e attribuibili all’epoca romana. Gli elementi più antichi sono riconducibili al I secolo a.C., mentre gli altri al I secolo d.C.. Non appare dunque peregrina la convinzione che ben difficilmente Giulio Cesare, dopo aver messo in sicurezza la pianura friulana “sigillando” gli accessi dei valichi alpini, non abbia pensato anche al rafforzamento di Udine. L’eccezionalità di un colle in mezzo alla pianura (talmente singolare da essere ritenuto per molto tempo opera dell’uomo) da utilizzare per fini militari, l’essere posta da sempre lungo l’antica via dell’Ambra, la vicinanza a due fiumi navigabili, il Cormor e il Torre, rendevano il capoluogo friulano un contesto privilegiato per le esigenze strategiche romane. E’ difficile da credere quindi che il genio militare di Cesare non ne abbia approfittato. Una consolidata tradizione erudita affermava l’esistenza di una torre sul colle del castello, di origine romana e di forma triangolare. Tracce di questa costruzione (probabilmente di legno) sono state rinvenute nell’ambito delle costruzioni duecentesche.

Maggiori sono poi i resti che attestano una crescita della città nel II secolo d.C. L’epoca non è affatto casuale ma si colloca perfettamente in quella vera e propria rifondazione della colonia aquileiese, che assunse il nome di COLONIA SEPTIMIA SEVERA CLODIA ALBINA, da parte della dinastia dei Severi, a partire dal 194 d. C. Se, come abbiamo già avuto modo di dire, il nucleo urbano originario di Udine raggiungeva una superficie di 15 ettari, i reperti archeologici ci indicano che la città, prima dell’arrivo dei romani, doveva arrivare ad una grandezza di 30 ettari. L’accrescimento della polis si impernierà sull’inglobamento dell’area del “Mercato Vecchio” e poi gradualmente e progressivamente arriverà a comprendere la piazza del “Mercato Nuovo” (Piazza San Giacomo) portando la roggia di confine nel luogo dell’attuale Roggia di Udine (Mercato Vecchio e Mercato Nuovo sono nomi di epoca successiva ma è certo che già al tempo in cui arrivarono i romani la città includeva questi confini, poi ristretti dalle invasioni barbariche e ricostituiti con la crescita sostenuta dai patriarchi guelfi e con la ripresa economica successiva all’anno mille.) I toponimi romani dei successivi borghi testimoniano sia il confine della città preromana, sia l’evoluzione della città romana. Come è stato mirabilmente dimostrato dalla dottoressa Francesca Sartogo, i borghi “romani” della città di Udine nascono come risultato della centuriazione romana del territorio udinese. Erano quindi inizialmente borghi agricoli. Borgo Grazzano è un toponimo prediale che deriva da un “fundus Gratianus o Pancratianus” (ossia il colono romano cui fu affidata la proprietà del fondo). Borgo Poscolle, nonostante alcune tesi che ne vorrebbero derivare il nome da “pasculum”, per la maggior parte degli studiosi e gli scribi medievali che avevano affrontato la questione, deriva dal latino “post collem” (al di là del colle). È probabile che il colle a cui ci si riferisce non sia il colle del castello ma il modesto rilievo ad ovest della città, tra la Contrada della Pescheria e la consolidata Roggia di Udine, fuori le mura del XII secolo. Anche Borgo Pracchiuso è un toponimo prettamente romano che trae origine dal latino “Pratelus o Pratum clausum” (prato chiuso). È probabile che a differenza di Borgo Grazzano e Borgo Poscolle, prematuramente integrati nel nucleo urbano, Borgo Pracchiuso sia rimasto per lungo tempo un insediamento rurale o protourbano. I segni della centuriazione romana, sui quali verrà innestato lo sviluppo urbanistico, (che ricalcherà perfettamente le misure utilizzate dai romani per la centuriazione) e le tracce delle domus elementari della prima edificazione, ci indicano con chiarezza che il borgo nasce già in epoca romana. La storia della città è intrecciata con lo sviluppo delle due rogge che l’attraversano. Mentre i canali che cingevano i fossati difensivi del primo nucleo urbano e dell’epoca preromana sono il frutto dell’utilizzazione delle acque dei due “laghetti” rappresentati dalle due depressioni presenti in città (Piazza I Maggio e Piazza Garibaldi), le rogge udinesi sono il risultato della straordinaria ed unica capacità ingegneristica dei romani. Una roggia è un canale di portata moderata, proveniente generalmente da un corso d’acqua più ampio; è prevalentemente utilizzato per l’irrigazione e per alimentare mulini ad acqua. La stessa origine latina della parola, che deriva dal termine arrigare=ad rigare (irrigare, bagnare) ci indica che la genesi delle rogge deve essere coeva alla centuriazione romana del Friuli centrale, che si servì di questa opera per l’indispensabile irrigazione dei terreni. Il fatto che il sistema delle rogge sia probabilmente romano rafforza la tradizione che vuole un certo Severiano d’Aquileia (della famiglia imperiale dei Severi) edificatore del castello di Savorgnano (Sabornianum), eretto proprio per difendere il controllo della sorgente che nutriva le acque delle rogge. Questo antichissimo diritto dei Severi fu ereditato dalla famiglia Savorgnan (secondo una delle interpretazioni genealogiche i Savorgnan sarebbero discendenti proprio della gens romana dei Severi) nel Medioevo, garantendo, nel corso dei secoli, alla nobile famiglia aristocratica friulana un forte controllo politico sulla città di Udine, debitrice dalle acque delle rogge. Le misure friulane dei campi agricoli sono ancor oggi e lo sono sempre state, strettamente derivate da quelle romane, utilizzate durante la centuriazione del Friuli. L’unica differenza riguarda il “campo piccolo” misura probabilmente adottata nel basso medioevo durante l’occupazione longobarda, quando ai nuovi venuti i proprietari latini dovettero cedere 1/3 dei terreni secondo il sistema della “hospitalitas”, che assegnava appunto un terzo delle terre ai nuovi occupanti. Secondo gli studi della dottoressa Francesca Sartogo nella sua opera “Udine e Venzone”, dalle analisi numeriche, da quelle geometriche delle mappe catastali, nonché dal dato di partenza inconfutabile di Tito Livio (181 a.C.) “Aquileia colonia latina in agro Gallorum est deducta. Tria milia peditum quinquagena iugera, centuriones centena, centena quadragena equites acceperunt” e per la seconda deduzione (169 a.C.) “pastulantibus Aquileiensium legati, ut numerum colonorum augeret, mille et quingentae familiae ex senatusconsulto scriptae” è possibile ipotizzare per il Friuli un sistema di centurie di 20×24 actus, pari a 240 iugeri. In questa situazione il cardo di 24 actus ha suddivisioni duodecimali, di norma di 6 actus, (6, 12, 18, 24) mentre il decumano, di 20 actus, ha suddivisioni decimali e delle frazioni di esso. Il campo più ricorrente è quello grande, costituito da una profondità di 6 actus (720 piedi-213,12 m) e da una larghezza di 2/3 di actus (80 piedi-24,47 m). La suddivisione minuta dei campi romani sarà la traccia delle lottizzazioni edilizie delle corti urbane che saranno allineate sui percorsi centuriali agricoli. È sempre la dottoressa Sartogo a rilevare che “il tipo “domus elementare” substrato della casa corte agricola isolata primigenia è caratterizzato da uno spazio racchiuso da un recinto rettangolare con dimensioni che vanno da 12-17-18 m. circa sul lato corto, ai 25-35 m. circa di profondità sul lato lungo, pari a 1/2, ai 2/3, a 1 actus, o ai 50, 60, 120 piedi romani, di derivazione agricola”. “Su un appezzamento di 3 campi grandi friulani, avente la misura di 2 actus sul lato corto e 6 actus di profondità sul lato lungo, si formeranno 4 lotti per 4 case-corti urbane sul lato corto e, sulla profondità dei lati lunghi, si formeranno 10 lotti per 10 case-corti urbane su un solo lato, o 20 lotti per 20 case corti urbane poste su ambedue i lati, nel caso di raddoppio”. Solo le parti più antiche della città preromana sfuggiranno a questa regola che sarà alla base dello sviluppo urbanistico della città. Le parti che hanno preservato una maggiore conservatività fondiaria, urbanistica ed edilizia, sono proprio i borghi che nascono “romani”, ossia Borgo Pracchiuso, Borgo Grazzano, Borgo Poscolle. La città di Udine sarà già da tarda epoca romana un importante centro economico e demografico della regione aquileiese e se non godrà dello stesso status di altri centri come Forum Iulii o Julium Carnicum, ciò sarà dovuto essenzialmente al fatto di essere rimasta “eclissata” per il fatto di esser stata inquadrata sin dalla sua nascita nella giurisdizione di Aquileia, seconda città d’Italia e quarta dell’impero. L’origine italica della città, legata alle tribù Protolatine che l’avevano edificata e la romanizzazione successiva, faranno della città l’epicentro della cultura latina e poi italiana della regione friulana, come poi tutta la storia di Udine starà lì a dimostrare.

Dott. Stefano Salmè

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